venerdì 21 luglio 2017

Sul discorso politico dei tanti che manifestarono per le strade di Genova, cala un silenzio sempre più profondo. di Elisabetta Piccolotti


16 anni fa. Lacrimogeni, manganellate, violenze, torture, e Carlo ucciso da un colpo di pistola. In questi giorni ogni anno cresce il numero di coloro che con ritardo riconoscono che a Genova vi fu sospensione dei diritti democratici e una colpevole gestione dell'ordine pubblico. Ma è sul discorso politico dei tanti che riempirono le strade di Genova che cala invece un silenzio sempre più profondo. Si capisce perché. Perché parlarne significa ammettere che quei giovani tacciati di estremismo, dileggiati, accusati di ogni nefandezza possibile, in fondo avevano ragione su molte cose. 

Ragione sui danni dell'intollerabile squilibrio tra nord e sud del mondo, ragione sui rischi della finanziarizzazione dell'economia, ragione sulle storture di una Costituzione Europea scritta per i mercati e non per le persone, ragione sulla centralità della questione dei migranti e la chiusura dei Cpt, ragione sul disastro della privatizzazione dei servizi pubblici locali, ragione sulla pace e sulle prevedibili conseguenze nefaste degli interventi militari in Medio Oriente, e infine sulla precarietà del lavoro, che all'epoca i più chiamavano flessibilità e che era osannata come l'avvio di una fase ricca di opportunità e dinamismo delle giovani generazioni. 

Pensare a come sarebbe potuto essere diverso questo nostro paese se soltanto una minima percentuale di quelle denunce e di quelle proposte fosse stata accolta per tempo è sempre doloroso. Per il semplice motivo che questo è il cuore della sconfitta che dura da allora e che non riusciamo a superare: avere tante ragioni e non esser riusciti a farle valere. E oggi, oggi che ci toccano kilometri di restroscena assai deprimenti sui nuovi ulivi arcobaleni in formazione, oggi capita di sentirsi allibiti e attoniti, estraniati, spettatori di un tempo surreale. Un tempo per cui la storia del mondo è solo un album di fotografie politiche da guardare una per volta e non un grande groviglio di processi sociali concatenati.

Un tempo senza memoria e senza progetto di futuro. Un tempo in cui si può passare la giornata ad evocare ulivi, sinistre estremiste, assistenti di Forlani, spiriti della prima e della seconda repubblica, cose viste e riviste e dimenticarsi completamente che la buona politica è fatta prima di tutto di idee sui problemi del mondo, di persone che si mobilitano per affermarle, di soluzioni alternative e coraggiose. È fatta di vita e per fortuna che ieri era il 20 luglio. E che il 20 luglio certo politicismo non può che scivolarci addosso. Guardiamo lontano, indietro e avanti.

Di Elisabetta Piccolotti

Nessun commento:

Posta un commento