giovedì 4 gennaio 2018

La crisi del Porto Industriale di Cagliari spiegata per i non addetti ai lavori.

C'è stato, dal mese di aprile, un tracollo sempre più drammatico, frutto del cambiamento delle dinamiche internazionali dei grandi colossi navali. Tutte le compagnie navali sono state assorbite da tre grandi colossi che hanno deciso di ottimizzare e razionalizzare i costi e i viaggi attraverso l'utilizzo di navi giganti (ognuna contiene l'equivalente di circa 4 navi normali) riducendo il numero dei viaggi ed ovviamente dei porti in cui effettuare le operazioni di Transhipment (smistamento dei container da navi più grandi a navi più piccole e viceversa, che portano le merci ai mercati finali).

Il Transhipment è una tipologia di lavorazione che può essere effettuata in qualsiasi porto attrezzato per farlo (nel Mediterraneo Cagliari, Gioia Tauro, la Spezia, Salerno, Taranto in Italia, i porti della Spagna, Malta, i porti del Nord Africa, il Porto del Pireo in Grecia e Port Said nel canale di Suez). Quindi ovviamente si è nel libero mercato e la concorrenza è dura, perché in Italia ci sono le tasse d'ancoraggio per le navi che arrivano e negli altri porti no, oltre alle differenze di costo del lavoro (in Italia 21dollari/ora, nei porti del Nord Africa 3dollari/ora).

Negli anni passati Cagliari era cresciuta tantissimo anche per l'instabilità dei Paesi del Nord Africa, causata dalle guerre, Isis ecc.. Ora che queste zone si sono tranquillizzate, sono ripresi gli investimenti lì, anche da parte del gruppo Contship Italia (detenuto a sua volta dal gruppo Eurokai) che possiede le aziende che gestiscono i terminal di Cagliari, Gioia Tauro, Spezia, Trieste, Salerno, Taranto e Tangeri.

 Come e da chi abbiamo appreso la notizia noi sindacati? È successo che, casualmente, portando avanti la vertenza di una delle aziende di Cagliari in crisi, la Compagnia Lavoratori Portuali (prossima al fallimento perché da sempre amministrata malissimo, che funge da agenzia interinale per tutto il Porto di Cagliari (come previsto dalla normativa specifica sui porti) siamo finiti al Ministero dei Trasporti per chiedere di attivare gli strumenti previsti dalla normativa vigente per salvare i lavoratori e il lavoro.

Nella seconda riunione al Ministero, a fine novembre, il capo di Gabinetto ci ha informato che Cagliari aveva problemi ben più gravi del salvataggio di quei 45 lavoratori, visto che avrebbe avuto prospettive di ripresa bassissime. Siamo rimasti gelati, perché fino a quel momento l'azienda CICT e il gruppo CONTSHIP ci avevano rassicurato sul fatto che stavano aspettando per stipulare nuovi contratti pluriennali e che avrebbero trovato una soluzione entro pochi mesi.

Invece apprendevamo in quel momento dal ministero che le cose non stavano esattamente così perché Cagliari scontava un gap infrastrutturale insormontabile: essere in un'isola. Ci spiegava che i tre grandi colossi navali stavano scegliendo i porti che potevano garantire l'ottimizzazione attraverso il collegamento ferroviario del porto con i mercati del centro Europa: in poche parole, prima le merci arrivavano via mare e dopo lo smistamento in navi più piccole se ne andavano ugualmente via mare, ora viene richiesto che buona parte delle merci raggiungano la destinazione finale (centro Europa) tramite ferrovia. Quindi siamo quelli messi peggio. 

Fa eccezione Malta, che pur essendo un'isola, ha la partecipazione azionaria del porto di una delle grandi compagnie, che quindi invia le navi lì. Oltretutto siamo tagliati fuori anche dal fatto che per lavorare quelle navi giganti si ha bisogno di una tipologia di gru adatta e più grande, del costo di circa 10 milioni di euro l'una (ne servono almeno 5), e, inutile dirlo, la Contship ritiene che sia un investimento a perdere. Cosa può succedere ora?

Il peggio può essere alle porte, proprio per questo è il momento di mettere insieme tutte le forze per non farci scippare una realtà economica così importante per Cagliari e per la Sardegna. Nessuno ha ricette con le quali si può contrastare la crisi, anche perché essendo in un libero mercato, si devono costruire le condizioni per essere concorrenti. Sapendo però che per alcuni aspetti di cui ho parlato prima, partiamo comunque zoppi.

 Che fare, quindi, arrendersi a questo nuovo scenario oppure provare a pensare o ripensare il Porto Industriale? Mi chiedo, magari con un pizzico di innato ottimismo, se questa crisi non possa diventare un'opportunità per il Porto. Sono certa di una cosa però: lasciare il nostro destino nelle mani di un solo imprenditore, che può decidere la vita o la morte di un'intera area della Regione non va bene.

E con questo non intendo dire che non si possa fare più "Transhipment puro", ma che sarà molto difficile farlo nelle proporzioni che abbiamo conosciuto finora. Sarebbe più opportuno creare anche qualcos'altro per sfruttare appieno le potenzialità del Porto. Sono convinta che, se siamo un porto come tanti nel Mediterraneo (nel senso che le merci non sono destinate alla Sardegna, ma qui vengono soltanto smistate) siamo un po' inguaiati.

Lo smistamento delle merci può avvenire ovunque: per una nave che arriva dall'altra parte del mondo, un porto del Mediterraneo vale l'altro ed ovviamente si ricercano le condizioni più vantaggiose (che noi non abbiamo). Un modo interessante di garantire il futuro sarebbe quello di fare in modo che buona parte delle merci sia destinato alla Sardegna, non ovviamente come consumi interni, ma magari come materie prime o semilavorati da lavorare nel nostro apparato industriale e artigianale, o merce da confezionare , per poi ripartire via mare verso le destinazioni finali. Si otterrebbe un doppio vantaggio:

1- dal punto di vista portuale si garantirebbe un traffico merci destinato al Porto industriale di Cagliari.

2- si potrebbe pensare ad un'implementazione dell'apparato industriale e artigianale che porterebbe ulteriore ricchezza e lavoro.

Contemporaneamente si può pensare allo sviluppo della cantieristica navale, al transhipment delle automobili, ecc. In una parola: DIVERSIFICAZIONE delle attività.

Ovviamente il terreno deve essere particolarmente fertile per far attecchire un progetto simile: infrastrutture adeguate ed una opportuna politica di fiscalità di vantaggio sono fondamentali precondizioni. Comunque, come organizzazioni sindacali abbiamo già attivato vari tavoli di confronto, due dei quali hanno già visto la luce: quello con il Sindaco della Città Metropolitana di Cagliari Massimo Zedda e quello costante con l'Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna.


Insieme al Sindaco Zedda abbiamo chiesto l'attivazione di un tavolo istituzionale con il Presidente della Regione Sardegna, con il Presidente della Camera di Commercio, Confindustria ed ovviamente Autorità di Sistema. Dobbiamo fare in fretta e noi abbiamo già iniziato a lavorare da un mese.

M.T.

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