mercoledì 7 marzo 2018

Rassegna stampa 07 Marzo 2018


La Nuova Sardegna

Ipotesi rimpasto in giunta dopo il crollo elettorale il voto in sardegna» la regione di Umberto Aime.

Rimpasto? Sì. Ma solo nel Partito democratico, con una nuova segreteria, o anche nella giunta Pigliaru? Potrebbe esserci da una parte e dall'altra. Uscito con le ossa rotte dalle elezioni politiche di domenica, il Pd non può stare certo a guardare le macerie che ha dentro e soprattutto fuori dalle mura. Se vuole ricostruire la casa, oggi devastata, non può bastare una semplice ristrutturazione e neanche passare appena il tosaerba in giardino. C'è tutto un progetto da cambiare, nonostante - e va riconosciuto - le diverse cose buone fatte da chi è al governo della Regione e da quanti, in Consiglio, siedono fra i banchi del partito di maggioranza relativa.  Alla fine «abbiamo provato a fermare un ciclone solo con le mani», commento raccolto nei corridoi del Palazzo di via Roma, «e com'era ovvio, siamo stati travolti». È per questo che sono in molti, dentro la maggioranza, a sollecitare qualcosa in più della «solita rinfrescata alle pareti» negli ultimi undici mesi della legislatura.

Gli appelli. A lanciare il primo appello è stato Pierfranco Zanchetta dell'Upc, che ha proposto «l'azzeramento della giunta di tecnici, per passare a una più politica». È stato il classico sasso gettato nello stagno e ha messo a soqquadro il centrosinistra fino a dividerlo fra favorevoli e contrari. «Non so se il rimpasto sia la cosa giusta, ma dobbiamo prendere atto della sconfitta e studiare le contromisure», ha detto Daniele Cocco, capogruppo di Mdp. Anche il suo partito, non solo i Dem, ha perso le elezioni, o comunque in Sardegna è rimasto molto sotto le aspettative. «Un motivo in più - ha aggiunto - per guardarci in faccia nel centrosinistra. Per questo è necessario che il presidente Pigliaru convochi un vertice di maggioranza nelle prossime ore». Oggi è in calendario una seduta del Consiglio: è possibile che la riunione possa essere organizzata prima o dopo.

La strigliata. È arrivata dal capogruppo del Pds, partito rimasto alla larga dalle elezioni nazionali. Gianfranco Congiu ha detto: «È stata una campagna elettorale molto poco appassionante, perché non hanno trovato spazio tutti i temi con al centro la Sardegna. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: il 4 marzo c'è stato un voto di protesta proprio per l'insufficienza proposta su come risolvere i problemi più vicini ai sardi. Noi lo abbiamo detto e ridetto: qualunque progetto deve avere testa e cuore in Sardegna, così non è stato». Per venerdì il Pds ha convocato la direzione nazionale, a Tramatza, ed è possibile che da quella riunione arrivi un'altra strigliata.

L'ammissione. In attesa che domani si riunisca la segreteria del Pd, dove Giuseppe Luigi Cucca non dovrebbe presentarsi dimissionario, è evidente che nel partito le acque interne sono molto agitate. Gli effetti del maremoto potrebbero arrivare anche a un immediato azzeramento dei vertici regionali. Per il capogruppo Pietro Cocco «dalle urne è arrivato un dato politico rilevante sul quale non si può non riflettere. A questo punto, dopo la pesante sconfitta incassata, abbiamo il dovere di riunirci, discutere e programmare i lavori da qui alla fine della legislatura». Anche se la resurrezione non sembra essere così vicina.

Cosa accadrà in Regione. L'azzeramento della giunta è molto improbabile. Sarebbe una decisione frettolosa, è il commento più diffuso nel Pd. Mentre un secondo rimpasto dopo quello post referendum costituzionale del 2016, anche quello perso malamente, potrebbe essere realistico, con l'ingresso di uno o più assessori meno tecnici e più politici. Anche se il pallino, in questo caso, non sarebbe certo nelle mani del centrosinistra, ma del governatore. Può essere solo Pigliaru, come tra l'altro è accaduto ogni volta che s'è parlato di rimpasto, a decidere l'utilità o meno di cambi in corsa e se soprattutto possano servire o no alla causa. Azzardare che il governatore non sia d'accordo a cambiare uno o più assessori, è tutt'altro che difficile. È molto più probabile - lo si intuisce anche dal comunicato di Pigliaru pubblicato sotto - che dalla maggioranza pretenda invece una rinnovata unità d'intenti e dal Pd di trovare al più presto una via d'uscita dopo il flop.

Cosa accadrà nel Pd. Renato Soru, in un'intervista alla Nuova, ha detto chiaramente che il segretario Giuseppe Luigi Cucca dovrebbe dimettersi senza essere sollecitato. Ma non sarà così, o almeno non accadrà prima del passaggio di domani in segreteria. È possibile invece che il vertice del partito si rimetta alle decisioni della direzione, convocata otto giorni dopo. Formata dai renziani, dagli ex Diesse, con l'appoggio dei popolari-riformisti, l'attuale maggioranza potrebbe disgregarsi nelle prossime ore e di sicuro la pesante sconfitta elettorale ha accelerato la dissoluzione. Ci sarà, a quel punto, un nuovo congresso? È molto probabile.




Gli outsider, i veterani e i ripescati
Il ministro dell'Interno Marco Minniti, sconfitto a Pesaro dal
pentastellato Cecconi, rientra grazie al proporzionale

ROMA
Alla buvette si incontreranno il leghista nigeriano Toni Iwobi, primo
senatore di colore d'Italia, la testimone di giustizia Piera Aiello
che finalmente potrà riavere pubblicamente indietro la sua identità,
ma anche pezzi grossi del governo uscente, dalla toscana Maria Elena
Boschi, eletta a Bolzano, a Marco Minniti, sconfitto a Pesaro dal
pentastellato Cecconi ma ripescato grazie al proporzionale. Il nuovo
Parlamento uscito dalle urne del 4 marzo è un mix di veterani e
outsider. Tra i big recuperati, mezzo governo Gentiloni: Dario
Franceschini, Roberta Pinotti, Valeria Fedeli, Andrea Orlando. Salvati
anche tre dei principali esponenti di Liberi e Uguali: sconfitti
all'uninominale conquistano comunque un seggio Pietro Grasso, Laura
Boldrini e Pier Luigi Bersani. Entrano, invece, dalla porta principale
del collegio i ministri Pier Carlo Padoan, Graziano Delrio, Luca Lotti
e Beatrice Lorenzin. Al Senato passa Emma Bonino, che a Roma fa
incetta di voti, e torna Umberto Bossi.

 Ma gli scranni di Montecitorio
e Palazzo Madama ospiteranno anche perfetti sconosciuti o famosi per
motivi diversi dalla politica. Due veterinarie si accingono a prendere
posto in aula: la napoletana Doriana Sarli, eletta alla Camera con il
M5s; al Senato, per la Lega, la toscana Rosellina Sbrana. Tra i 28
eletti del Movimento 5 Stelle nei collegi uninominali siciliani
Gaspare Marinello, dirigente dell'ospedale di Sciacca, e Giorgio
Trizzino, direttore dell'ospedale Civico di Palermo. Il M5s, che ha
già designato Salvatore Giuliano - preside dell'Iiss Majorana di
Brindisi, una delle scuole più raccontate d'Italia - come possibile
successore della ministra Fedeli, porta diversi insegnanti in
Parlamento. Nutrito pure il drappello di giornalisti.

Nel M5s ce l'hanno fatta Primo Di Nicola, ex direttore de Il Centro, con il 41%
in Abruzzo; Emilio Carelli, ex direttore di SkYTg24; Pino Cabras,
giornalista-blogger, scrittore e fondatore di Pandora Tv, 46% nel
collegio di Carbonia. Nelle liste di Forza Italia eletti Giorgio Mulè,
direttore di Panorama (46%), Andrea Cangini, ex direttore di Qn, che
era capolista nelle Marche. Tra i vip dello sport l'ha spuntata l'ex
Ad del Milan Adriano Galliani, mentre il presidente della Lazio
Claudio Lotito resterà fuori dal Senato, a meno che non segua il
consiglio del sindaco di Benevento Clemente Mastella e faccia ricorso.

Pd a pezzi: via il segretario e ora la rivoluzione interna
L'ex deputato Sanna: «Cucca si dimetta». Deiana: «Torniamo tra i pastori»

di Luca RojchwSASSARIUno psicodramma che si consuma tra la matematica
della sconfitta e l'incredulità di chi a guardare le Stelle così
lontane sta male. Il Pd si risveglia in uno stato confusionale, dopo
la lezione grillina. I Dem cercano in Sardegna la loro identità.
Schiantati dal boom a 5 Stelle e ridotti a percentuali lillipuziane,
galleggiano su un gommone sgonfio. Appena il 15 per cento dei voti. Il
40 per cento delle Europee sembra un lontano miraggio. Il Pd cerca una
spiegazione del flop. Una caduta verticale dei consensi che fa paura
in particolare se si guarda al futuro. In primavera ci sono le
amministrative e tra un anno l'appuntamento è con le Regionali. La
richiesta. Da più parti si invoca il cambio di passo.

E se ieri nella
sua intervista alla Nuova Renato Soru non ha voluto spingere
sull'acceleratore fino a dire che il segretario Giuseppe Luigi Cucca
si deve dimettere, oggi lo fa l'ex deputato Francesco Sanna. Area
Soru. «Cucca si deve dimettere. Non lo dico con volontà punitiva -
spiega Sanna -. I segretari di Toscana, Umbria, Marche, Friuli, si
sono già dimessi. Tutti quelli che guidano il partito nelle altre
regioni mette a disposizione il proprio incarico. Credo che dovrebbe
farlo anche il nostro segretario regionale. Non è una questione
personale. Ora è necessario che lui si concentri al massimo sul
senato. È l'unico rappresentante del Pd. E deve portare avanti le
istanze dei sardi». E Sanna spiega anche da dove deve ripartire il
partito. «Per noi è una doccia gelata. Speriamo di non morire di
polmonite. Dobbiamo ripartire dalla gente.

Da massicce campagne di
ascolto . Dobbiamo accorciare la distanza tra noi e la gente. La
Regione deve avere più efficienza. Non possiamo fare solo annunci. Si
devono dare risposte immediate. Dobbiamo essere più vicini al mondo
delle campagne. Tu puoi anche dire che hai grandi progetti per la
filiera, ma se non dai i soldi del Psr nessuno ti seguirà. Se a tutto
questo ci si aggiunge il piombo sulle ali che la lotta per le
candidature ha portato credo che il risultato negativo sia
inevitabile. Serve un nuovo patto politico. Un patto che andava fatto
un anno fa».Dimissioni nell'aria. Cucca ha convocato per domani la
segreteria. Venerdì prossimo ci dovrebbe essere la direzione. E in
questa occasione Cucca potrebbe formalizzare le sue dimissioni. Il
segretario è sotto attacco, anche se sono in pochi a chiedere in modo
esplicito le sue dimissioni. Ma le diverse anime del partito chiedono
in particolare una svolta. Un cambio di passo.

I consiglieri. La
richiesta del cambio di rotta arriva anche da alcuni consiglieri
regionali. «Il Pd negli ultimi tempi ha fatto troppo il partito di
governo e ha trascurato il rapporto con gli elettori -dice Giuseppe
Meloni -. Da quando ha deciso di ampliare il suo orizzonte ha
trascurato i suoi elettori originali e con gli alleati. Si deve subito
fare una veloce e vera analisi del voto e aprire un dialogo con gli
alleati attuali e futuri. Mi pare di capire che ci possano essere le
condizioni con la giusta proposta per cambiare i destino delle
regionali. Non chiedo le dimissioni del segretario. Quelle di Renzi o
di Cucca risolvono i problemi del Pd. Ognuno in coscienza faccia le
sue valutazioni». Anche Roberto Deriu fa autocritica. «Si deve fare
una proposta che vada verso gli interessi degli elettori. Il nord
ricco ha votato il centrodestra per riprendersi quello che ha perso
nella crisi. Il sud povero ha votato 5 stelle per essere garantito con
la spesa pubblica, noi non abbiamo dato un'offerta riformista».Le
periferie.

Il presidente dell'Anci e sindaco di Bortigiadas Emiliano
Deiana è netto e spietato quando parla del suo partito. «Io questo
risultato me lo aspettavo. Sia i 5 stelle che il Pd. Per troppo tempo
i Dem hanno abbandonato i luoghi periferici. I paesi, la strada. Si è
allontanto dalle comunità». Un calcolo può spiegare meglio il concetto
di Deiana. Nel 2013 il Pd poteva contare su 160 sindaci nell'isola.
Oggi sono una cinquantina. Deiana rincara. «Il Pd con le sue riforme
si è sempre più allontanato dai piccoli centri. Oggi deve ricostruire
un tessuto di relazioni con le amministrazioni e le popolazioni. Deve
ritornare a fare politica tra le piazze, tra le persone.

Credo che sia
anche giunto il tempo di fare un Partito democratico sardo, slegato da
quello nazionale. Perché le priorità di Roma non sono quelle
dell'isola. Un capitolo a parte lo meritano le politiche della giunta
regionale, che spesso hanno un impatto negativo, anche per una
politica comunicativa errata. Dobbiamo smettere con le nostre
politiche di pensare a Marchionne e andare incontro alle esigenze dei
pastori sardi».

Anche Meloni contro i vertici
L'ex deputato lettiano: Cucca ha pensato solo alla sua rielezione, se ne vada

CAGLIARI. Nel Pd è il momento anche dei duelli a distanza o degli
ultimatum lanciati da questo contro quello. Nonostante ci sia una
reciproca stima, non solo politica, Renato Soru ad esempio ha dato un
sorta di altolà al segretario nazionale Matteo Renzi. «Dopo un
risultato elettorale come questo - ha detto - e davanti a un partito
che dimezza i voti dalle ultime Politiche, fa parte della vita stessa
rassegnare le dimissioni. E magari quando si presentano non si cerca
di imporre una linea per il futuro. Ci si dimette e basta. E toccherà
a qualche altro».

È una dichiarazione che di fatto diventa un
contestazione aperta alle «non dimissioni» presentate da Renzi nella
sua prima uscita dopo la batosta di domenica. C'è anche dell'altro.
Soru ha trovato anche «non molto giusto tirare in ballo il presidente
della Repubblica perché non si è votato un anno fa. Non credo - ha
concluso - che tra l'altro sarebbe cambiato molto».

Per la serie
invece «duelli a distanza», uno degli ultimi si è consumato di fronte
alle telecamere del sito Youtg ed è stato fra l'ex deputato Marco
Meloni, eletto nel 2013 in Liguria e non ricandidato questa volta
neanche in Sardegna, e l'attuale segretario regionale Giuseppe Luigi
Cucca. Dopo aver definito una buffonata le dimissioni a orologeria di
Renzi, Meloni ha affondato i colpi sul caso Sardegna: «Qui da noi
siamo riusciti a fare anche peggio che nel resto d'Italia. Da parte
del segretario regionale ho visto un impegno del tutto insufficiente
sia nella gestione delle candidature che nella conduzione della
campagna elettorale. Cucca ha pensato soltanto alla propria
rielezione: ora si dimetta».

Fra i due il dialogo è stato sempre
difficile, perché appartengono a due correnti diverse e contrapposte.
Meloni da sempre si riconosce nella minoranza guidata dal ministro
Andrea Orlando, anche se le sue origine sono al fianco di Enrico
Letta, mentre Cucca è un renziano. Ad aver accentuato i contrasti
potrebbe esserci anche questo: Meloni, a suo tempo, aveva proposto la
sua candidatura in Sardegna, come rappresentante della minoranza
interna, ma l'offerta era stata rifiutata. Sta di fatto che, dopo Soru
e Francesco Sanna, Meloni è il terzo a chiedere ufficialmente al
segretario di «dimettersi immediatamente».

Cucca non ha tardato certo
a replicare. Sempre in una diretta di Youtg ha detto: «Chi oggi dice
di tenere così tanto alle sorti del partito, avrebbe dovuto essere più
presente negli anni scorsi. Ora si presenti in direzione, perché la
sua voce non la sento da molto tempo». Fra i due e non solo fra loro
due il duello diventerà presto un faccia a faccia. Venerdì 16 marzo è
stata convocata la direzione regionale. Sarà la prima dopo la disfatta
elettorale e sarà quindi anche quella della resa dei conti. (ua)

Chiede più unità alla coalizione e per il bene della Sardegna apre al
confronto con qualsiasi governo Pigliaru: «Pronti a dialogare con tutti»

CAGLIARI Il ciclone Cinque stelle s'è abbattuto come una furia su
tutto il centrosinistra. Ma proprio in questo momento difficile e
incerto «è sempre più essenziale lavorare uniti, superando le
divisioni che troppo spesso hanno limitato la nostra capacità di
dialogare con i nostri elettori, impegnandoci ancora di più tanto
nelle azioni quanto nel farle conoscere». È questo uno dei passaggi
chiave del commento di Francesco Pigliaru al voto.

«Perché - scrive - siamo di fronte a una sconfitta del centrosinistra italiano che ci
chiama a una doverosa riflessione, com'è giusto che sia in
democrazia». Per Pigliaru «il giudizio uscito dalle urne, a parte il
caso del Lazio dove il voto negativo nazionale non ha impedito la
vittoria regionale di Zingaretti, è stato severo e ci riguarda tutti».
Per proseguire: «Il successo del Movimento Cinque stelle nel
Mezzogiorno, in Sardegna ma ancor più nelle altre regioni, mostra
quanto alta sia la sfida che il centrosinistra deve ora affrontare per
migliorare la propria capacità di proteggere chi oggi è più debole e
per riconquistarne la fiducia».

Ancora: «Gran parte dell'elettorato ha
reputato insufficiente l'azione portata avanti dal centrosinistra per
contrastare gli effetti di una crisi lunghissima, la peggiore che
abbiamo vissuto dal dopoguerra e durante la quale è estremamente
complesso governare, soprattutto nel Sud». Per poi passare alle
questioni sarde: «Da parte nostra, sappiamo di aver intrapreso un
cammino arduo. Alcune riforme strutturali, di cui andiamo giustamente
orgogliosi, hanno bisogno di tempo per incidere nella quotidianità e
migliorare la vita dei cittadini. I segnali positivi che stanno
finalmente arrivando, dalla ripresa del Prodotto interno lordo alla
riduzione della disoccupazione, sono ancora fragili e non abbastanza
diffusi per superare la diffidenza di chi da questa crisi è stato più
colpito e desidera giustamente uscirne il prima possibile».

Subito dopo: «Noi abbiamo lavorato con serietà e concretezza perché questo
accada e continuiamo a farlo. Ma nello stesso tempo ci chiediamo ogni
giorno se le nostre scelte siano state efficaci e se abbiamo fatto
tutto quello che avremmo voluto. Oggi ci colpisce il fatto che i
Cinque stelle abbiano ottenuto tanto consenso anche proponendo cose
che noi abbiamo già impostato e realizzato: dalla riforma dei centri
per l'impiego al reddito d'inclusione sociale, sino ai cantieri di
lavoro nei Comuni». Che il motivo della sorpresa manifestata dal
presidente abbia a monte anche il non aver saputo comunicare quanto
fatto? E possibile. Sta di fatto che, dopo l'invito all'unità della
coalizione, la conclusione è questa: «La giunta regionale è pronta a
collaborare con tutti per difendere i diritti dei sardi, con al primo
posto lavoro e trasporti. Siamo pronti a lavorare insieme a tutti i
candidati eletti in Sardegna, qualunque sia l'appartenenza e qualunque
sarà il governo con cui dovremo confrontarci, perché l'interesse della
Sardegna supera gli schieramenti ed è l'unico obiettivo che tutti
dobbiamo avere». (ua)

I pastori avevano restituito le schede elettorali: «Poi ce le siamo riprese»
Le cinque stelle brillano a Orgosolo: più del 61%

di Paolo Merlini
NVIATO A ORGOSOLO«Anch'io ho restituito la scheda elettorale, poi me
la sono andata a riprendere. E come me gli altri trecento pastori di
Orgosolo che avevano aderito alla protesta», dice Giovanni,
allevatore, entusiasta del voto nel paese più pentastellato della
Sardegna: qui oltre il 61% degli elettori, con una lieve differenza
tra Camera e Senato, ha votato Cinque Stelle. E probabilmente poco
c'entra che la deputata grillina che ha stravinto in questo collegio,
Mara Lapia, abbia origini orgolesi da parte di madre. In tanti hanno
votato il movimento a scatola chiusa, e non lo nascondono.Ma torniamo
all'incontro con Giovanni, al quale nel frattempo si è aggiunto
Egidio, pastore anche lui, e il tavolo all'Internet cafè gestito da
Teresa Podda, grillina da tempi non sospetti, a fine mattinata si
trasforma in una tribuna politica in cui ognuno vuole dire la sua, con
la chiarezza d'esposizione propria di ogni buon orgolese e con
citazioni di livello. Siete di destra o di sinistra?

«Non importa se
il gatto sia nero o bianco, l'importante è che catturi il topo», dice
Giovanni riprendendo una massima di Deng Xiaoping, il leader cinese
del secolo scorso. Il che farebbe ipotizzare solide basi marxiste,
anche se nel corso del breve dibattito si scoprirà che non è così, e
che Giovanni ed Egidio sono elettori grillini sottratti probabilmente
al centro destra. La protesta rientrata. E le schede restituite e poi
riprese? «Ci siamo resi conto - dicono Giovanni ed Egidio («Niente
cognomi, per favore») - che dietro la protesta dei certificati
elettorali, che da Ollolai si è allargata a tutti paesi della
Barbagia, non c'era unicamente la difesa dei diritti dei pastori,
dalla rivendicazione per il prezzo del latte che oggi è a soli 85
centesimi al litro agli agnelli a due euro al chilo.

C'erano anche
motivazioni meno nobili, e forse la voglia di condizionare il voto con
un'astensione maggiore». In che senso? Sulla conversazione cala il
silenzio, ma il sasso ormai è lanciato, e al cronista non resta che
andare a ritroso con la memoria, a poco prima di un mese dalle
elezioni, quando il sindaco di Ollolai, Efisio Arbau, da sempre
portabandiera dei pastori, ha visto cadere nel nulla la propria
candidatura offerta prima alla Lega e poi a Forza Italia. Negli stessi
giorni lo stesso sindaco, esponente della Base, riceveva in municipio
la prima delegazione di pastori con duecento schede in mano. Da allora
la protesta si è allargata a macchia d'olio in tutta la Barbagia, da
un Comune all'altro, portando a diverse migliaia le schede restituite.

Sarebbe interessante andare a vedere quanti pastori sono andati a
riprenderle, al pari dei trecento allevatori di Orgosolo.I primi
turisti. Ma nel paese famoso per i murales, dove oggi sono grillini
due elettori su tre, anche gli imprenditori sono felici del successo
dei Cinque Stelle: come Mario Fossati, che gestisce un'avviata
lavanderia e parla di un'oppressione fiscale che blocca lo sviluppo,
di «bancari al potere» e una casta che ha fatto il suo tempo; o un
altro imprenditore che da 25 anni si occupa di turismo e pensa che
aprirsi al mondo sia la strada da percorrere per ridare ossigeno alla
Barbagia. Capisci quanto sia vero appena entra nel locale un
motociclista tedesco alla guida di un gruppo che sfida il gelo di
questi primi giorni di marzo.I precursori.

Poi ci sono i grillini
della prim'ora, quelli che già avevano fatto notizia alle politiche di
cinque anni fa, quando il movimento a Orgosolo raggiunse il 30 per
cento, ben cinque punti in più della media provinciale. Sono perlopiù
di sinistra, ma non indossano il lutto se nel paese barbaricino
simbolo delle lotte sociali soltanto 212 abitanti su 4200 hanno votato
Pd, sprofondato al 10 per cento e superato di quattro punti da Forza
Italia. Come Elio Sanna, vigile del fuoco che rispetto al 2013 ha
finalmente ottenuto il riavvicinamento in Sardegna, e dalla Lombardia
è arrivato ad Arzachena, anche se si capisce che si sente un po'
straniero pure in Costa Smeralda. O Mario Rubanu, che a quarant'anni
ha lasciato Milano dove si erano trasferiti i genitori, che prima
erano emigrati in Germania.

Domenica era rappresentante di lista in
una sezione dove l'M5S ha raggiunto il 66%. «Ora il problema è
tradurre questo consenso in un rinnovamento che agisca concretamente
sulla realtà di tutti i giorni. Intendo dire che dobbiamo lavorare per
le prossime elezioni comunali. Per questo discutevo con Giuseppe
Musina (altro attivista grillino di vecchia data, ndr) della necessità
di organizzare concretamente anche qui il movimento su basi concrete».

Il segretario-senatore sul boom alle urne: «Promosso il nostro progetto»
Sul futuro dell'alleanza: se dà buoni frutti potrà essere riproposta
alle regionali Solinas: il patto con Salvini
non si ferma alle politiche

di Alessandro PirinawSASSARIAlla vigilia delle elezioni si è
confrontato con tutti. A destra con Forza Italia, a sinistra con il
Pd. A contendersi il vessillo dei Quattro mori erano Berlusconi e
Renzi. Per settimane il Psd'Az ha portato avanti la trattativa con
Cappellacci da una parte e con Cucca dall'altra, fino a quando non è
rimasto folgorato sulla via di Pontida. Un'alleanza, quella con la
Lega di Salvini, che la Sardegna ha vissuto come un tradimento dei
padri del sardismo. O perlomeno questo sembrava emergere in quei
giorni tra contestazioni della base, dirigenti infuriati e sardisti
messi alla porta da giunte di centrosinistra. Una sensazione di
disagio che però è stata sconfessata dalle urne. Sotto il vessillo di
Alberto da Giussano, e senza i Quattro mori sulla scheda, il Psd'Az ha
addirittura raddoppiato i voti.

Oltre l'11 per cento in una terra che
aveva sempre respinto il leghismo. Numeri che hanno permesso al
segretario Christian Solinas, l'artefice dell'operazione sardo-padana,
di essere eletto al Senato. E senza passare dal collegio blindato che
la Lega gli aveva messo a disposizione a Milano. Il segretario
sardista, già assessore ai Trasporti ai tempi della giunta
Cappellacci, è stato eletto in Sardegna dai sardi. Anche se sotto il
simbolo del Carroccio.Senatore Solinas, immaginava il successo
dell'alleanza con la Lega?«Girando la Sardegna in queste settimane e
parlando con i sardi avevo avuto la percezione che ci fosse
comprensione per il progetto politico. Questa sensazione è stata
confermata dai voti.

L'alleanza è stata capita e premiata».C'è chi
sostiene che l'apporto del Psd'Az non sia stato così determinante e
che la Lega, anche alla luce del successo avuto in tutta Italia, in
Sardegna avrebbe sfondato ugualmente.«Francamente non è una questione
che mi appassiona. Rilevo soltanto che nel Meridione peninsulare e in
Sicilia il risultato della Lega è pari a meno della metà rispetto a
quello sardo».Non era facile fare passare in Sardegna un patto con
Salvini. Ha avuto paura che l'accordo si potesse rivelare un flop
elettorale?«Io non ho mai dubitato della buona fede dei sardi. Il
nostro è stato l'unico progetto alternativo al Movimento 5 stelle che
ha raccolto la fiducia dei sardi in maniera crescente. Gli altri
partiti hanno tutti visto ridurre i loro voti».

Ma cosa accomuna il
Psd'Az alla Lega?«La nostra è un'alleanza basata sui programmi. Ma in
verità sono tante le cose che ci accomunano. A partire dalla visione
sul federalismo, sulla necessità di avere maggiori spazi di
autogoverno del territorio, sulla esigenza di rivitalizzare le istanze
locali. Insomma, è una alleanza naturale».Un'alleanza che può avere un
futuro anche oltre le politiche?«Noi abbiamo avviato un percorso
fondato sui programma e sulle cose da fare per la Sardegna. E se, come
credo, l'accordo fatto per il Parlamento porterà buoni frutti per i
sardi, non vedo ostacoli a uno sviluppo del ragionamento per i
prossimi appuntamenti elettorali. Ma tutto questo sarà oggetto di una
riflessione più ampia che il partito farà al 34esimo congresso
nazionale prima delle regionali».

Nelle scorse settimane la decisione
di allearsi con la Lega è stata contestata da esponenti importanti del
partito, come il capogruppo in Regione, Angelo Carta, e il sindaco di
Posada, Roberto Tola.«La risposta migliore agli attacchi l'hanno data
gli elettori sardi. Quasi il 12 per cento dei consensi rappresenta un
risultato secondo solo al vento sardista degli anni Ottanta. Io non ho
mai dubitato della buona fede dei sardi. Girando l'isola in lungo e in
largo ho visto riavvicinarsi al partito centinaia di persone che
avevano militato nel periodo di maggiore consenso.

Oggi sono tornati
per condividere questa svolta».A Cagliari la svolta verso la Lega di
Salvini ha spinto il sindaco Massimo Zedda a mettere alla porta il
Psd'Az. Quella con il centrosinistra è una rottura definitiva?«È stata
una rottura unilaterale di accordi di programma fatti esclusivamente
per il Comune di Cagliari».Nel futuro del Psd'Az, in particolare in
vista delle regionali, c'è spazio per un dialogo con altre forze
autonomiste come il Progetto Autodeterminatzione o il Partito dei
sardi?«Una grande parte del movimento identitario e sovranista credo
abbia già scommesso sul nostro progetto con il proprio voto. Il
risultato raggiunto però ci impone di aprire un confronto con tutte le
forze sociali, politiche e culturali che si richiamano ai valori che
proponiamo per costruire una credibile alternativa di governo».

Con la
Lega avete stretto un accordo di 10 punti. Quali sono le
priorità? «Sono tre. La prima dipende solo da noi. E cioè presentare
una proposta di legge per modificare lo Statuto speciale con
l'introduzione di temi come la zona franca, la continuità
territoriale, la tutela linguistica e territoriale. La seconda
riguarda la nostra sanità: noi vogliamo un sistema sanitario pubblico
fondato sulle esigenze di salute dei sardi, senza l'applicazione di
standard e parametri nazionali incompatibili con le peculiarità
territoriali e demografiche dell'isola. Infine, la regionalizzazione
delle soprintendenze scolastica e dei beni culturali per governare il
piano di dimensionamento scolastico e avviare un percorso di
valorizzazione del nostro patrimonio archeologico e culturale.
Investire sulla cultura significherebbe avere tanti posti di lavoro
green».

Il patto con la Lega prevedeva la sua elezione sicura in un
seggio blindato in Lombardia. Ma il successo del 4 marzo le ha
consentito di essere eletto nell'isola. «Questa è la cosa che mi ha
dato più soddisfazione. L'accordo si era reso necessario per aggirare
i vincoli assurdi del Rosatellum, ma malgrado questa legge elettorale
abbiamo dimostrato di potere eleggere con le nostre forze un
parlamentare in Sardegna»

Le fabbriche, dall'ex Alcoa a Eurallumina, stanno per ripartire ma il
Pd viene bocciato Gli operai del Sulcis scelgono Di Maio

SASSARI Il Pd al governo fa ripartire le fabbriche del Sulcis e il
territorio risponde con una solenne bocciatura. È il Movimento 5
stelle a dominare la scena tra Carbonia e Iglesias, tra Portoscuso e
gli impianti fermi ancora per poco dell'Alcoa e Portovesme dove
all'Eurallumina è partito il conto alla rovescia. Il Partito
democratico si ferma al 13 per cento nell'ex provincia più povera
d'Italia cresciuta a pane e industria pesante, dove da alcuni anni le
ciminierie si sono spente e più di mille operai sono andati in cassa
integrazione o in mobilità.

I pentastellati superano quasi ovunque il
40 per cento, in alcuni casi vanno oltre il 50. A Portoscuso la
percentuale è 44,9% con il Pd fermo a 13. A Iglesias è più alta,
46,2%, a Carbonia scende appena al 41,6%. Una apoteosi per il
Movimento apparentemente inspiegabile per il Partito democratico.

Poche settimane fa è stato ufficializzato il passaggio dell'ex Alcoa
di Portovesme al gruppo svizzero Sider Alloys: un investimento da 120
milioni di euro nella fase iniziale destinato a crescere nel breve
periodo, così come ha assicurato l'amministratore delegato Giuseppe
Mannina. Nella fabbrica, che si chiamerà Sider Alloys Italia, si
ipotizza anche di assegnare ai dipendenti una quota del capitale
azionario: lavoratori-padroni, una garanzia in più per il loro futuro
dopo un'attesa quasi decennale, quando iniziò la crisi Alcoa in
Sardegna. La fabbrica ricomincerà a produrre alluminio: l'idea è
proprio quella di creare un polo con la vicina Eurallumina, altra
fabbrica ferma che di recente ha ricevuto un importante segnale per il
riavvio da parte del governo.

Nonostante tutto questo nel Sulcis a
dominare la scena alle Politiche del 4 marzo è il Movimento 5 stelle
che non ha mai sostenuto la necessità di fare ripartire l'industria
pesante in Sardegna. Invece quel triangolo che da anni vive in uno
stato di preagonia economica gli ha dato piena fiducia. Evidentemente
i progetti di rilancio annunciati dal Governo a trazione Pd non sono
stati accolti con entusiasmo dagli operai, delusi dalle tante promesse
tradite del passato e ora sfiduciati sul futuro e non più disposti a
dare fiducia alla sinistra. (si. sa.)

Unione Sarda

Crisi Pd, tremano i vertici sardi Nervi tesi dopo la batosta e primi contraccolpi nei territori: si dimette il segretario di Nuoro Cucca potrebbe lasciare.
L'ex deputato Sanna: lo faccia subito

Il passo indietro è prevedibile, ma solo dopo un confronto da avviare
all'interno degli organismi del Pd sardo: la segreteria in primis, che
Giuseppe Luigi Cucca ha convocato per giovedì alle 12, e soprattutto
la direzione, in programma una settimana dopo o anche prima. Solo
allora potrebbe aprirsi anche in Sardegna la fase congressuale.
Intanto, a poche ore dallo tsunami che nell'Isola ha spinto il Pd
sotto il 15%, è già in corso quella delle assunzioni di
responsabilità.

Il segretario regionale non si tira certo indietro: se dalla
discussione emergerà che il suo ruolo non è servito a ridare linfa al
partito, a prepararlo al meglio per la campagna elettorale, potrebbe
decidere di rimettere il mandato con molta serenità. Non è disposto,
invece, a essere sfiduciato attraverso un post su Facebook, né in
alcun modo che non rientri tra quelli previsti dagli organismi del
congresso.

L'AFFONDO A chiedere le dimissioni di Cucca su Facebook è stato ieri
il deputato uscente e non rieletto Francesco Sanna. «Il Partito
democratico sardo registra un “divario insulare” di quasi quattro
punti rispetto ai numeri nazionali, anch'essi molto negativi». Un
risultato che «non ha consentito la mia rielezione alla Camera»,
aggiunge, per poi proseguire: «Non essendo stato un casuale
osservatore nella vicenda del Pd sardo, porto la mia quota di
responsabilità e suggerisco al vertice attuale di rendere più facile
una trasparente riflessione sul futuro mettendo a disposizione subito,
senza aspettare che pochi o tanti lo chiedano, il proprio mandato».

Di assunzione di responsabilità parla anche il vicesegretario dem,
Pietro Morittu: «Nel Pd è doveroso ricostruire un senso di comunità»,
riflette, «abbiamo fatto cose utili per il Paese, ma ora non possiamo
avere la spocchia di dire che la gente non ci ha capito: dobbiamo
assumerci le nostre responsabilità». Con altri amici, continua,
«stiamo riflettendo sui dati regionali, abbiamo ripensato anche a come
è nata e poi è stata abbandonata l'esperienza di Agorà, che partiva da
un confronto interno per promuovere un luogo capace di costruire
un'idea di Pd e Sardegna trasversale a tutto il partito».

Morittu non lo dice, ma qualcuno ipotizza che una parte della
segreteria regionale possa decidere di dimettersi giovedì, a
prescindere da cosa farà Cucca. Per ora si tratta però solo di voci.
PASSO INDIETRO C'è chi preferisce saltare ogni dibattito di natura
collegiale e lasciare preventivamente. «Credo sia giusto rimettere a
disposizione del partito il mio incarico per rendere possibile una
discussione serena dalla quale far scaturire nuove idee, proposte e il
corretto rilancio dell'immagine del nostro Pd», scrive il segretario
dei dem di Nuoro, Davide Montisci, in una lettera indirizzata alla
segretaria provinciale Maria Sedda.

«Le ultime elezioni politiche
hanno lasciato un chiaro segnale nel Paese, e, in particolare modo
nella nostra Regione - aggiunge - la stessa Provincia di Nuoro e la
città capoluogo confermano la sconfitta con dati ancora più impietosi
rispetto ai dati nazionali. Il mio gesto è da interpretate nell'ottica
di dare segnali concreti sulla necessità di cambiare rotta».
Intanto, a débacle avvenuta, l'ex militante e già candidato alle
primarie vinte da Francesca Barracciu nel 2014, Andrea Murgia, spiega
perché stavolta non ha votato Pd: «Un partito diviso in cordate e
rappresentato da capi-cordata, che in questi anni non ha volutamente
esercitato alcuna espressione di autonomia. L'esempio sulla
composizione delle liste è l'ultima evidente dimostrazione. Non mi
sarei sentito rappresentato dai parlamentari del Pd scelti da Renzi e
per questo non li ho votati».
Roberto Murgia

l governatore: le nostre riforme hanno bisogno di tempo per incidere
Pigliaru: «Sconfitta severa» Ma di rimpasto non si parla

Rimpasto in Giunta? Francesco Pigliaru non ci pensa nemmeno. I primi
appelli in maggioranza sono partiti meno di 20 ore dopo la chiusura
dei seggi, anche se ancora non ci sono richieste ufficiali. Ma il
governatore non intende riaprire una snervante discussione sugli
assessori, a meno di un anno dalle prossime Regionali.
PERCHÉ NO Pigliaru non lo dice ufficialmente, nel comunicato diffuso
ieri a commento del voto. Ma dagli ambienti della Giunta
l'orientamento anti-rimpasto filtra in maniera netta.

Un po' perché il
presidente non sarebbe scontento degli attuali assessori. Un po'
perché cambiare dopo le elezioni apparirebbe come un'ammissione di
colpe che l'esecutivo non ritiene di avere, non da solo almeno.
E molto perché la legislatura è quasi alla fine: un nuovo assessore
avrebbe bisogno di mesi per afferrare il funzionamento degli uffici,
ma di fatto potrà lavorare solo fino a ottobre. Poi resterà da
approvare l'ultima Finanziaria e a Natale sarà già campagna
elettorale.

L'ANALISI Serve semmai un nuovo slancio dell'azione di governo, questo
sì: e Pigliaru lo dice commentando «una sconfitta per il
centrosinistra italiano che chiama una doverosa riflessione, con
dinamiche nazionali ben precise, diverse tra Nord e Sud. Gran parte
dell'elettorato ha reputato insufficiente l'azione portata avanti dal
centrosinistra per contrastare la crisi peggiore dal dopoguerra».
A parte il Lazio, il verdetto delle urne «è stato severo e ci riguarda
tutti». Nelle regioni del Sud, nota Pigliaru, il M5S ha trionfato
anche più che in Sardegna, e questo indica la difficoltà del
centrosinistra nel «proteggere chi oggi è più debole».

Nell'Isola si è
«intrapreso un cammino arduo. Alcune riforme strutturali, di cui
andiamo giustamente orgogliosi, hanno bisogno di tempo per incidere e
migliorare la vita dei cittadini». E i segnali di ripresa «sono ancora
fragili».

Pur pensando di aver «lavorato con serietà e concretezza», allo stesso
tempo «ci chiediamo ogni giorno se le nostre scelte sono state
efficaci», prosegue il governatore: «Colpisce che il M5S abbia
ottenuto tanto consenso anche proponendo cose da noi già impostate e
realizzate, dalla riforma dei centri per l'impiego al reddito di
inclusione sociale, sino ai cantieri di lavoro nei Comuni».

APPELLI Al centrosinistra Pigliaru ricorda che «c'è un anno di
legislatura e molti risultati importanti sono alla nostra portata»: ma
«è essenziale lavorare uniti, superando le divisioni che spesso hanno
limitato la nostra capacità di dialogare con i nostri elettori». In
ogni caso, conclude, per difendere i diritti dei sardi la Giunta è
pronta «a collaborare con tutti gli eletti, qualunque sia
l'appartenenza o il governo con cui dovremo confrontarci, perché
l'interesse della Sardegna supera gli schieramenti».

Parisi «Pd, che frana: troppo centrista»

Arturo Parisi le chiama le Tramatze , dal luogo lungo la 131 che
spesso ha ospitato le liti del Pd: quelle interminabili e tesissime
riunioni interne al Pd sardo, caratterizzate spesso dallo scontro tra
le correnti, non sui grandi temi della politica. «Si finiva per
discutere di sedili e sederi», dice tagliente il professore, uno dei
padri fondatori del Pd, ma sempre più critico con le scelte del
partito.

Un partito che, alla luce delle mappe sulla distribuzione del voto,
«appare sempre più di centro e ha perso contatto con le periferie»,
osserva. Il risultato elettorale, che ha visto volare il Movimento
5Stelle e la Lega, si spiega anche così.
Si aspettava degli esiti simili?
«Onestamente no. Alcune tendenze erano chiare da tempo. Ma non certo
la misura. Soprattutto per l'impennata della Lega all'interno del
centrodestra. Diciamo che quelli che sembravano dei rimbombi di tuono
erano invece l'annuncio di un terremoto».

In particolare, si aspettava una simile batosta per il Pd?
«Assieme all'avanzamento dei 5Stelle, l'arretramento del Pd era
l'altro dato nel conto. Fino alla fine i sondaggi lo collocavano in
una forchetta tra il 22 e il 24%. Non foss'altro che per l'effetto
della secessione dalemiana, troppo a lungo raccontata come una
scissione, anche se alla fine si è rivelata una scheggiatura. Il
risultato finale ci racconta invece una frana».

A che cosa la attribuisce? Sono solo colpe di Renzi o ci sono
responsabilità più ampie?
«Per esperienza so che è inevitabile che i politici inizino dalle
colpe pensando a come sostituire i colpevoli. Poiché nasco analista,
preferisco invece concentrarmi sulle cause. E per capirle bisogna
partire dagli effetti, che sono quelli scritti nei risultati
elettorali: su quanti e su chi ha negato il suo consenso alla proposta
Pd».

A chi pensa?
«Non c'è niente che descriva il problema meglio delle carte geografiche».
Che cosa intende dire?
«Se guarda le città, blu o gialle che siano, lei vedrà assai spesso un
“cuore”, rosso come il Pd, che coincide con i quartieri più abbienti,
e in genere è lo stesso nei territori, e, pensando in particolare al
voto del Sud, nell'intero Paese. Ma penso anche alla collocazione
sociale, non solo a quella geografica, la più facile da
rappresentare».

Lei vuol dire che il Pd è stato percepito come il partito del centro?
«Esattamente. Ma non solo il Pd e non da ora. Più o meno come è
capitato, in Germania, nel voto per Trump, in quello per la Brexit e
in Francia, Democratici e Socialdemocratici più o meno uniti ai
partiti tradizionali si sono sempre più identificati col centro, e al
suo interno sono stati assorbiti dai conflitti e dalle vicende interne
al ceto di governo e ad agende in genere imposte dall'esterno».

Come legge questo fenomeno?
«Se, come altrove, il Pd è diventato ogni giorno di più il partito del
centro, quella alla quale assistiamo è una rivolta di quelli che in
questo centro non si riconoscono. La definirei una rivolta delle
periferie. Per ora una sommossa, più che una rivoluzione. Una sommossa
di cui al momento si riescono a vedere gli effetti destabilizzanti,
più che prevedere i nuovi equilibri».

A Bologna, se ha votato Pd, ha votato Casini. Ritiene corretta la
scelta di fare alleanze al centro e di rompere con la sinistra?
«Sì, ho votato a Bologna, e alla Camera per il Pd. Ma mi dispiace
deluderla: per il Senato mi son sentito costretto a lasciare la scheda
bianca. Se, grazie al sistema maggioritario ora abrogato, la scelta
avesse deciso il governo del Paese, come ancora nei Comuni e per la
Regione, ne sia sicuro, il mio voto non sarebbe mancato».

E allora che cosa ha votato?
«Ho votato ben altro. Ma il sistema proporzionale, ora purtroppo di
nuovo vigente, decide soltanto delle persone alle quali delegare le
scelte. Affidandoti per di più in questo caso al loro buon cuore,
visto che appartiene a un “diciamo partito” che ha seguito sempre
linee opposte. Come avrei potuto acconsentire che Casini tornasse in
Parlamento in mia rappresentanza grazie al mio voto?»

Non le piace proprio...
«Beh, uno come lui si è sempre orgogliosamente battuto, e ancora oggi
coerentemente si batte, contro la mia idea di democrazia. Fino al
punto di imporre a Berlusconi l'approvazione del Porcellum al posto
del Mattarellum».
Che cosa pensa delle dimissioni “postdatate” di Renzi?
«Perché postdatate? Anche se con modi indisponenti, come spesso
accade, Renzi ha riconosciuto la necessità di trasferire le sue
responsabilità di segretario a un nuovo segretario. Ma questo
passaggio avverrà quando il nuovo sarà eletto con le primarie, nelle
forme previste dallo statuto. Esattamente come avviene per il capo del
governo, nel caso della conclusione anticipata di una legislatura».

Quindi la ritiene la procedura più corretta?
«Se mi dice che l'annuncio doveva avvenire in una sede formale e
coincidere con l'indizione urgente e accelerata delle primarie,
concordo con lei. Le scadenze che ci attendono potrebbero costringere
il partito a scelte che non esito a definire storiche: è bene che
siano prese con la massima partecipazione e tempestività. Com'è
capitato in Germania nel Partito Socialdemocratico, che in coincidenza
con le nostre elezioni ha dovuto rispondere alla proposta della Merkel
di dare di nuovo vita a una Grande Coalizione con la Cdu-Csu».

Condivide la linea di collocare comunque il Pd all'opposizione, o
pensa che si potrebbe collaborare, per esempio col M5S?
«Ripeto: quello che si apre è un processo complesso e inevitabilmente
lungo, che dev'essere fatto alla luce del sole e in cui non può essere
saltato nessun passaggio. È evidente che la prima mossa tocca ai
vincitori. È la democrazia».

Lei che scenario vede?
«Sia gli eletti che gli elettori della parte che ha vinto debbono
spiegarsi che cosa significa che “la stagione del vaffa è finita”. È
il momento di imparare a farsi carico della propria vittoria,
avanzando proposte per il governo del Paese. Non basta dire: chi ha
proposte da fare, le deve rivolgere a noi. Da domenica le parti si
sono invertite».

In Sardegna il Pd è andato peggio che nel resto d'Italia. C'entra
l'operato della Giunta regionale, o le ragioni sono altre?
«Il fatto è che in Sardegna, a causa delle responsabilità di governo
che vanno dalla Regione fino ai Comuni, passando per gli enti che
fanno capo al potere politico, il Pd è apparso - più che altrove -
quel centro contro il quale è esplosa la rivolta delle periferie. Il
Palazzo di fronte alla gente, la politica di fronte alla società. Il
presente contro l'alleanza tra la nostalgia di miti passati e di
incerti futuri».

Lei ritiene che anche in Sardegna il segretario regionale debba
presentarsi dimissionario?
«Diciamo che, prima di aprire l'ennesima contesa sul “chi”, è tempo
che il partito cominci a interrogarsi sul “cosa”. Posso dirle che, da
sardo e da democratico, mi sono stancato di queste infinite
“Tramatze”, in cui si finisce per discutere solo di sedili e sederi?
Com'è stato possibile che il fenomeno che ci cresceva intorno, e che
ora i dati ci dicono coinvolgere la metà dei votanti, non sia stato al
primo punto dei nostri dibattiti?»

Servirà una riflessione seria per capirlo. Serviranno altri dibattiti,
ma molto differenti. Profondi, impietosi. Magari non a Tramatza.


Quasi completato lo spoglio delle 1.858 sezioni estere, “Le Iene”
denunciano brogli
Voto all'estero, primi i Dem ma Mariani non ce la fa

Se i quattro milioni di italiani che risiedono all'estero
rappresentassero una nazione il Pd sarebbe il primo partito. Ma non è
così e per questo la vittoria dei dem nella circoscrizione estero vale
per quello che è: quattro o cinque seggi in più in parlamento.
Non è ancora chiaro quanti saranno esattamente perché nella serata di
ieri lo spoglio era fermo a 1790 sezioni su 1858 ma è certo che Pietro
Mariani, il manager cagliaritano che risiede in Spagna candidato al
Senato con il Pd non è stato eletto. Mariani è infatti nettamente
staccato da Laura Garavini, che avrà un seggio grazie agli oltre
34mila voti raccolti sino a ieri sera contro gli 8mila del
sardo-spagnolo. Un divario difficilmente colmabile nelle sezioni
mancanti.

PD VITTORIOSO Quel che è certo è che il Pd in tutte e quattro le
ripartizioni - Europa, America settentrionale e centrale, America
meridionale, Africa, Asia, Oceania e Antartide - ha raccolto 284mila
voti, il 26,4% dei consensi, contro i 231mila del simbolo unico FI,
Lega, FdI. Il Movimento Cinquestelle, trionfatore in patria,
all'estero ha raccolto 188mila voi, il 17,5% ed è la terza forza
politica. Va detto che dei 4.230.854 elettori ha votato solo il 29,6,
meno di un terzo dell'elettorato.

DENUNCIA DI BROGLI Nei giorni scorsi un servizio della trasmissione di
Italia Uno Le Iene ha denunciato presunti brogli nel voto all'estero
ma la Farnesina ha smentito annunciando azioni legali contro Mediaset.
«Dall'esame del video», si legge in una nota del ministero degli
Esteri, emergono serie incongruenze» tra cui il fatto che «la
tipografia nel video non è quella incaricata dal Consolato Generale di
Colonia per la stampa del materiale elettorale. Le schede che appaiono
non sono abbinate a certificati elettorali (che contengono i codici
elettori) e pertanto risultano inutilizzabili. Nel video non appaiono
le buste preaffrancate obbligatorie per legge per la restituzione
all'ufficio mittente».

Inoltre, «secondo il video la compravendita
delle schede avrebbe avuto luogo nella serata del 28 febbraio: ove
tale circostanza fosse accertata, i tempi di spedizione non sarebbero
comunque stati sufficienti per far giungere il materiale entro il 1
marzo al Consolato. Già il 16 febbraio scorso», conclude la nota, «il
Consolato aveva denunciato alla Procura i tentativi di inquinare e
delegittimare il voto in quella circoscrizione consolare». All'estero
sono eletti diciotto parlamentari, dodici deputati e sei senatori. (f.
ma.)

Resa dei conti nei Dem E ora scende il gelo tra il leader e Gentiloni

Stop al «tutti contro uno». Dopo aver annunciato il passo indietro
dalla guida del Pd e incassato gli affondi di chi lo ha definito «post
datato» se non addirittura «fake», Matteo Renzi prova a stanare la
minoranza interna. «Per me il Pd deve stare dove l'hanno messo i
cittadini: all'opposizione. Se qualcuno del nostro partito la pensa
diversamente, lo dica in direzione lunedì prossimo o nei gruppi
parlamentari. Senza astio, senza insulti, senza polemiche: chi vuole
portare il Pd a sostenere le destre o i cinquestelle lo dica», la
denuncia su Facebook senza troppi giri di parole. «Non capisco le
polemiche interne di queste ore. Ancora litigare? Ancora attaccare
me?», la sottilineatura.

CAPICORRENTE NEL MIRINO Il messaggio è rivolto ai capicorrente
interni, da Dario Franceschini ad Andrea Orlando, da Graziano Delrio a
Michele Emiliano, che insiste per dare un «appoggio esterno al M5S». A
stretto giro di posta, però, il ministro per i Beni culturali,
accusato dai renziani di essere disposto a trattare con i grillini per
ottenere la presidenza della Camera, sgombera il campo: «Non ho mai
pensato sia possibile fare un governo con 5 stelle, e tanto meno con
la destra. Non c'è nemmeno traccia nel Pd di qualcuno che abbia in
mente di farlo».

Anche Andrea Orlando smentisce. «Evitiamo le
barzellette: il momento è serio. Non ci sono governisti a tutti i
costi né fautori dell'opposizione, duri e puri, in costante presidio
contro gli inciuci. All'opposizione ci hanno mandato gli italiani».

L'IRA DI GENTILONI C'è una persona che ha un peso importante in questa
fase: Paolo Gentiloni. Il presidente del Consiglio ieri avrebbe
litigato col segretario, che lo avrebbe accusato di non opporsi a
un'intesa con i pentastellati. «Mi dà dell'inciucista», avrebbe detto
il premier piano di rabbia.

SUBITO IL NUOVO LEADER Molti, nel Pd, premono per «un nuovo uomo al
timone» già prima del congresso. Toccherà alla direzione di lunedì
segnare il percorso. Direzione alla quale Matteo Renzi, viene
spiegato, potrebbe non partecipare, anche se la riserva ancora non è
sciolta. La relazione spetterà al vicesegretario Maurizio Martina,
impegnato in queste ore a tenere insieme il partito, tanto che c'è chi
non esclude che possa essere lui il traghettatore fino al nuovo
Governo.

I numeri sono, almeno sulla carta, a netto favore del segretario
dimissionario (70% Renzi, 20% Orlando, 10% Emiliano) ma il malcontento
rischia di far scricchiolare anche la maggioranza renziana e quindi si
potrebbe anche evitare di arrivare a un voto. Il leader, prima di
farsi da parte per fare il «senatore semplice», pur lasciando spazio a
Martina e Orfini, intende «mettere in sicurezza» il partito,
presidiando il campo fino all'inizio della legislatura.

La scelta del ministro
Calenda: «Partito da risollevare, pronto a iscrivermi»

«Comunque vada siamo un Paese straordinario». Il tweet fissato sul suo
profilo è datato 4 marzo ed è lì a definire la cifra del personaggio,
a prescindere da come poi alla fine sia andata davvero.
Per il centrosinistra, che Carlo Calenda, pur da non candidato, ha
sostenuto con impegno in campagna elettorale, le elezioni non sono
state un successo e, a distanza di qualche giorno, il ministro dello
Sviluppo economico scende in campo per dare una mano, quasi fosse
un'azienda in crisi. «Non bisogna fare un altro partito - scrive
replicando su Twitter a un follower che lo invita a partecipare
attivamente a una formazione politica, magari nuova - ma lavorare per
risollevare quello che c'è.

Domani mi vado ad iscrivere al
@pdnetwork». Poi chiarisce: «Non mi candido a segretario». Dal tweet
in avanti, in una giornata intensa di lavoro trascorsa tra gli operai
di Embraco a Torino, solo ringraziamenti e ovazioni. Perché la
decisione di Calenda viene accolta con favore da tutto il Pd. Il primo
a complimentarsi con lui è Paolo Gentiloni con un tweet: «Grazie
Carlo!». Un appoggio che conta.

Nazareno si lavora al nuovo corso, Chiamparino si autocandida, piace Zingaretti
Delrio, Martina, Richetti: è già corsa alla successione

I più assicurano che «le carte vere» sono «ancora coperte», ma anche
che se non è chiaro quando si aprirà la fase congressuale, la corsa
per il dopo Renzi alla segreteria del Pd è già partita. In questo
senso viene interpretata la mossa di Carlo Calenda di iscriversi al
partito. Il ministro dello Sviluppo economico dice di voler solo
«collaborare» per «risollevare» il destino dem e smentisce una sua
candidatura alla guida del Nazareno.

Gli altri nomi sono quelli di Graziano Delrio, Maurizio Martina,
Matteo Richetti. E c'è chi parla di una donna misteriosa.
CHIAMPARINO SI PROPONE Chi si autocandida è Sergio Chiamparino.
«Candidarmi a segretario? Perché no? Io una mano la posso dare», ha
annunciato non risparmiando di alzare i gomiti nei confronti
dell'ultimo arrivato, Calenda. «Non si tratta di fare un concorso di
bellezza o di bravura ma di dare un segnale: i vertici tutti, a
cominciare dal segretario, hanno capito che c'è una responsabilità
soggettiva nostra in una sconfitta. La più pesante che la sinistra
abbia conosciuto nel dopoguerra», ha tagliato corto.

PIACE ZINGARETTI A sinistra, anche fuori dal Pd, in tanti sperano che
alla fine scenda in campo Nicola Zingaretti. Dopo il bis nel Lazio,
qualcuno scommette che alla fine sarà così. «È l'unico che ha vinto,
che sa ancora cosa significa», il commento sprezzante di un dirigente
dem. Dopo l'impresa alla Pisana, gli applausi sono stati tanti. «La
sinistra di governo che vince anche quando è davvero difficile. Grazie
@nzingaretti», ha commentato a caldo il premier Paolo Gentiloni,
mentre sono arrivati i complimenti di Andrea Orlando («Congratulazioni
a @nzingaretti! Un centrosinistra diverso è possibile, un
centrosinistra diverso vince») e Pietro Grasso. Il diretto interessato
non intende sbilanciarsi, almeno per il momento: «Cosa farò se mi
chiederanno di diventare il segretario del Pd? Io faccio il presidente
del Lazio». La partita, insomma, è appena iniziata.

Per ora nessun contatto tra le forze politiche
Camere, presidenti da inventare

Ancora nessun contatto come base per un accordo sull'elezione dei
presidenti delle Camere. Solo una dichiarata apertura di M5S e
centrodestra al dialogo. Fermo nel suo recinto, il Partito democratico
aspetta gli altri per un'eventuale discussione che porti a due figure
di garanzia.

In una situazione di assoluta incertezza, la storia potrebbe suggerire
la linea. Dalle elezioni del 2013 Pier Luigi Bersani, segretario del
Pd, uscì con una maggioranza alla Camera e un deficit consistente in
Senato. È qui che Bersani ha forse fatto il vero e proprio colpaccio
nel tentativo di conquistarsi le opposizioni. Le proposte per i due
rami del Parlamento furono infatti su due figure non politiche, Pietro
Grasso e Laura Boldrini. Insomma un'apertura in cerca di sostegno. Lo
scenario potrebbe ripetersi, perché il centrodestra e il M5S, da soli
non riuscirebbero a eleggere i presidenti di Montecitorio e Palazzo
Madama, senza il sostegno di altre forze.

Di fatto strizzare l'occhio al Pd con personaggi di garanzia sarebbe
la strada più facile da percorrere, ma «non ha portato bene» a Bersani
che, subito dopo le consultazioni, si dimise per l'impossibilità di
formare un governo. Mentre in Senato il ballottaggio nella quarta
votazione semplificherebbe la procedura, alla Camera si potrebbe
attendere l'abbassamento del quorum dopo il terzo scrutinio, quando è
richiesta la maggioranza assoluta dei voti. Significherebbe
l'impossibilità di creare un'alleanza per un eventuale maggioranza di
governo.

Ufficializzata la ripartizione proporzionale dei seggi, si salvano
Franceschini e Orlando
Da Minniti a Bersani, ecco la lista dei big “ripescati”

Sconfitti all'uninominale, e salvi grazie al paracadute del
proporzionale. Il piano B ha funzionato. Dopo qualche ora di
incertezza, i big della politica - da Marco Minniti a Pierluigi
Bersani - possono tirare un sospiro di sollievo. A operazioni di voto
concluse, infatti, il Viminale ha ufficializzato la ripartizione
provvisoria dei seggi plurinominali.
Per la Camera al M5s vanno 221 seggi, 260 al centrodestra, 112 al Pd,
14 a LeU. Per quanto riguarda il Senato, 135 seggi sono stati
assegnati al centrodestra, 112 al Movimento 5 Stelle, 57 al Pd, 4 a LeU.

Il ministro dell'Interno, Marco Minniti, ha perso la sfida
all'uninominale di Pesaro, andato ad Andrea Cecconi del M5s, ma con il
proporzionale entra alla Camera. Stessa storia per altri colleghi di
governo: Andrea Orlando, capolista in Emilia nel collegio
Parma-Piacenza-Reggio, Maurizio Martina, nel proporzionale a Bergamo,
Dario Franceschini, sconfitto nel collegio di Ferrara, Valeria Fedeli,
travolta a Pisa, Roberta Pinotti, sconfitta a Genova, Teresa
Bellanova, battuta a Nardò da Barbara Lezzi. Anche Debora
Serracchiani, governatrice uscente del Friuli, ha comunque un posto
assicurato in Parlamento.

Una storia quasi opposta è quella della ministra della Salute Beatrice
Lorenzin: nonostante la sua Civica Popolare non abbia raggiunto l'1%,
e le porte del proporzionale restino quindi chiuse, si aggiudica un
posto in parlamento grazie all'uninominale di Modena, offertole dal Pd
quando si sono stilate le liste.

Tornando al proporzionale, garantito l'ingresso in Parlamento pure ai
piddini Paolo Siani, fratello del giornalista ucciso dalla camorra, e
Lucia Annibali, l'avvocatessa sfregiata con l'acido dall'ex fidanzato,
protagonista delle battaglie contro la violenza sulle donne. Tra le
fila di Leu resta invece fuori Massimo D'Alema, candidato in Salento
dove è arrivato ultimo: è fuori dal Parlamento.

Non ce la fa nemmeno Pippo Civati, mentre si salvano Pierluigi Bersani
e Vasco Errani. Storia simile anche per i presidenti di Camera e
Senato, Pietro Grasso e Laura Boldrini, e Nicola Fratoianni.
Tra i pentastellati, il proporzionale assicura il bis alla deputata
Giulia Sarti, e fa iniziare l'avventura politica di Gianluigi
Paragone.
Stesso passaggio per i forzisti Sandra Lonardo in Mastella, Michaela
Biancofiore, Vittorio Sgarbi e per il coordinatore di FdI Guido
Crosetto.


Solinas: pronta una proposta di legge, cambieremo lo Statuto
Il segretario Psd'Az rinsalda l'accordo coi leghisti: «Regionali con
loro? Si può fare» «In Senato per la zona franca»

Dopo 17 anni il Psd'Az torna in Parlamento e a rappresentare i Quattro
mori in Senato sarà il segretario, Christian Solinas. Un'elezione
ottenuta grazie a un accordo con la Lega che nell'Isola ha raggiunto
quasi il 12%: «Abbiamo proposto un accordo chiaro che i sardi hanno
capito».

È riuscito a tagliare il traguardo.
«Abbiamo raggiunto l'obiettivo che il partito si era prefissato, ossia
tornare in Parlamento per portare la voce e le battaglie del sardismo
nelle istituzioni che decidono le sorti della Sardegna».

Cosa si prova?
«La sensazione è di aver vinto una tappa importante ma quel che
avverto maggiormente è la responsabilità di una sfida che ci attende
fin da subito: lavorare per realizzare gli impegni programmatici che
abbiamo presentato ai sardi e dimostrare che si può ancora fare
politica con serietà e correttezza nei confronti dei cittadini».

I sardi hanno capito il progetto?
«Abbiamo proposto un accordo chiaro, fondato su basi programmatiche
precise e con un partito al quale ci accomuna il federalismo, la
tutela delle istanze e delle peculiarità territoriali e l'esigenza di
affermare sempre maggiori spazi di autogoverno a livello locale. I
sardi hanno compreso e trovato naturale questa opzione premiandola con
un consenso davvero importante che va oltre il doppio della media del
Meridione e della Sicilia».

Subito al lavoro per l'Isola?
«Certamente. Depositeremo fin da subito le proposte di legge
costituzionale per la modifica dello Statuto speciale, per la zona
franca, la continuità territoriale, la regionalizzazione delle
sovrintendenze e l'inserimento di un'apposita norma sulla tutela
linguistica e culturale».

Il paracadute del seggio milanese non è servito. Un segnale importante?
«Direi determinante. Abbiamo dimostrato di poter eleggere con le
nostre forze in Sardegna e di essere l'unico progetto politico
alternativo al Movimento 5 stelle, che raccolga la fiducia e il
consenso dei sardi in maniera crescente».

Sfiorare il 12% è una buona dote?
«È un risultato davvero enorme che ci impone di aprire immediatamente
una stagione di confronto con le altre forze politiche, sociali e
culturali che condividono con noi valori e ideali. Vogliamo proporre
un'opzione di governo credibile e affidabile soprattutto per la
Regione e i Comuni che andranno presto al voto».

Lei è stato molto criticato per l'accordo con la Lega. Ha sassolini
nelle scarpe che vuole togliersi?
«No. Semmai, dopo aver fatto migliaia di chilometri, in tutta l'Isola
per incontrare tanti sardi è il momento di cambiare le scarpe e
iniziare un nuovo cammino e una sfida sulle risposte da dare. I
sassolini, le critiche, le invidie e le negatività sono cose che
lascio nelle scarpe vecchie a consumarsi tra loro nell'inutilità e
nella loro sterilità sociale e politica»

Di cosa ha bisogno la gente?
«Concretezza, unità d'intenti e tanto lavoro per restituire a ogni
cittadino la dignità e l'orgoglio di potersi definire tale».
Pensa di aver ricevuto più voti di leghisti sardi o di sardisti?
«Francamente la cosa non mi appassiona. Quel che resta è il risultato
di un accordo premiato dall'elettorato con 93.812 preferenze al
Senato, pari a quasi al 12%. Tutti i sardi sapevano che avrebbero
eletto un sardista votando Lega nella scheda gialla e tutto questo
consenso mi commuove e mi lusinga. Sento solo di dover ringraziare di
cuore ogni elettore per questa testimonianza di fiducia e di affetto».

Con la Lega anche alle regionali?
«Abbiamo avviato un percorso su basi programmatiche, ideali e
culturali. Torniamo in Parlamento per portare risultati utili per i
sardi non solo per i sardisti. Se, come credo, l'alleanza sarà
fruttuosa a Roma, non vedo ragioni per non svilupparla e riproporla a
Cagliari. Ma tutto questo sarà oggetto di una riflessione più ampia
che il partito farà nel prossimo Congresso nazionale che si celebrerà
prima delle elezioni regionali».

Il simbolo sarà quello dei Quattro mori?
«I Quattro mori ci saranno. Il resto lo vedremo».
Matteo Sau

Primo incontro dei 16 parlamentari: «Subito al lavoro nei territori»
M5S, gli eletti già in campo

Per i parlamentari del Movimento 5 Stelle è già tempo di cominciare a
lavorare e lasciare da parte i festeggiamenti per la vittoria
elettorale. L'incontro di ieri sera dei 16 portavoce ad Assemini,
insieme al coordinatore della campagna elettorale, Mario Puddu, è
stata la prima occasione per fare il punto della situazione. Per tutti
c'è già una prima tappa: «Tornare nei prossimi giorni nei territori di
elezione e riprendere il dialogo con i cittadini perché gli eletti
sono i portavoce». L'incontro che ha riunito la squadra vincitrice
alle elezioni in Sardegna, è stato l'occasione per gioire, ma anche
per «rimboccarci le maniche, c'è molto da fare e siamo consapevoli
della grande responsabilità che i cittadini ci hanno dato».

Nel Movimento 5 Stelle isolano c'è la sensazione che il risultato ottenuto
debba essere ricambiato con un rapporto diretto con le persone, anche
perché «a breve ci saranno elezioni amministrative importanti e poi le
regionali», dice Puddu. Così, ieri, prima di concludere la serata in
una pizzeria e mangiare una fetta di torta, la decisione di fissare un
primo incontro «anche perché non è semplice riunire tutti, sia per gli
impegni che per le distanze».

Per gli esordienti in partenza per Roma
l'emozione è tangibile, ma soprattutto è forte il senso di
responsabilità di dover «rappresentare tantissimi sardi che ci hanno
dato fiducia. Questo per noi è il punto di inizio e non quello
d'arrivo come succede per molti».
M. S.

Oristano, lacrime e veleni
Da Uras a Nughedu Santa Vittoria il successo del Movimento pentastellato
Solinas attacca i vertici dem. Lutzu, FI: abbiamo retto

Un cielo di stelle. Da Uras a Nughedu Santa Vittoria, passando per
Oristano. Il Movimento ha raccolto tre volte tanto i voti del Pd e
Forza Italia. Molto più della sinistra, più della destra nella
provincia più centrista e destroide, conservatrice e tranquilla, della
Sardegna e di una buona fetta della Penisola. Se da altri parti si
parla di un terremoto, qui è scoppiato un vero e proprio tsunami che
porta a ragionamenti politici fino a ieri, forse, appartenenti a
pagine di cronache lontane.

L'ANALISI «Allora bisogna fare un ragionamento serio, capire perché è
successo. Certo ci sono stati errori, abbiano sbagliato parecchio, chi
più chi meno. Ma chi ha avuto più peso e mi riferisco, per stare in
casa, alla dirigenza regionale sarda, deve trarne le conclusioni.
Quando si lascia il volante alla dirigenza, la politica ne paga
inevitabilmente le conseguenze. Sul territorio ci siamo noi e a noi i
cittadini chiedono conti», sbotta Antonio Solinas, competitor
all'uninominale nel Pd, spazzato dal «vento stellato che soffiava
forte», riconosce. Il “mea culpa”, caldo quanto amaro, batte su petti
frastornati per l'imprevisto ben oltre il prevedibile.

L'USCENTE «L'aria era quella, ma ragionevolmente si pensava che il
lavoro fatto in questi ultimi cinque anni ci avrebbe premiati. Non ho
niente di cui rimproverarmi. I milioni a Oristano e alla provincia
sono arrivati, parecchi progetti sono stati realizzati, la condizione
generale anche se in misura inferiore alle aspettative è comunque,
migliorata. Abbiamo salvato la Prefettura, gli uffici giudiziari,
quelli scolastici, gli investimenti per riqualificare le periferie
sono arrivati ma evidentemente non è stato sufficiente. Certo gli
errori non sono mancati e qualcuno se ne dovrà fare carico, ma da qui
dobbiamo ripartire. Ce la faremo, sono convinta», dice Caterina Pes
che, dopo la «straordinaria esperienza romana», ritorna alla cattedra
di filosofia al De Castro.

CENTRODESTRA Ma anche per il centrodestra che amministra i comuni più
importanti, da Oristano a Terralba e Cabras, si viaggia sotto le
stelle. «Non è andata benissimo ma col vento che tirava e considerato
che la composizione dei collegi ha penalizzato la rappresentanza
oristanese, ce la siamo cavata anche bene. Non mi pare che il
risultato rappresenti un avvertimento per il Comune, le amministrative
sono diverse dalle politiche e anche dalla regionali. Siamo sereni,
lavoriamo tranquilli», sostiene Gianfranco Licheri, assessore comunale
di centrodestra. Il sindaco Andrea Lutzu: «Massimo rispetto, i dati
sono quelli che sono ma le amministrative sono ben altra cosa. I
Cinquestelle hanno fatto un grande risultato ma non mi sembra che
abbiano rubato voti al centrodestra. La mia maggioranza deve solo
preoccuparsi di governare bene ascoltando tutti, soprattutto i più
deboli e i disoccupati».

L'ELETTA Lucia Scanu, nata e vissuta a Nughedu Santa Vittoria, dopo
passaggi lavorativi - settore turistico - a Londra per poi rientrare
in Sardegna a Oristano, si ritrova come in una favola, catapultata a
Roma. «In casa ho avuto il nonno e mio padre Giovannino sindaci di
Nughedu ma questo non significa che ho vissuto di pane e politica.
Certo, mi ha sempre interessato ma mai avrei pensato di trovarmi un
giorno parlamentare. Una gioia e una felicità indescrivibile anche se
non nascondo di sentire il peso della responsabilità, spero di essere
all'altezza».
Antonio Masala



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Federico Marini
skype: federico1970ca


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