mercoledì 14 marzo 2018

Rassegna stampa 14 Marzo 2018


Il numero uno del Carroccio lascia il Parlamento europeo e chiude ad accordi coi Dem. Salvini all'Ue: «Se necessario sforeremo il tetto del 3%»

STRASBURGO Al mattino le dimissioni da parlamentare europeo e una conferenza stampa a Bruxelles, la sera a Roma un vertice con gli alleati di FI e FdI per stabilire la linea da seguire nel post voto. Giornata intensa quella di Matteo Salvini nel corso della quale litiga con i giornalisti perché si porta la claque che applaude a ogni sua parola, non esclude un governo con l'M5S ma chiude al Pd. E sull'Europa dice: «Se serve ignoreremo il tetto del 3%. Fa parte di quelle regole scritte a tavolino che se fanno star bene i cittadini noi siamo contenti di rispettare, ma se in nome di quei vincoli dobbiamo licenziare, chiudere e precarizzare, no. Se saremo in grado di rispettarlo, benissimo».

«PRIMA GLI ITALIANI» Ma, avverte: «Se devo trovare nell'arco dei prossimi due anni 31 miliardi di euro per evitare l'aumento dell'Iva, delle tasse e delle accise, perché qualcuno così ha deciso, l'ultima cosa che farò al governo è aumentare l'Iva, le tasse e le accise. Contratteremo con Bruxelles un modo sereno e reciprocamente utile dell'Italia di stare nell'Unione e dell'Unione di rispettare le esigenze degli italiani». Forse, però, Salvini scommette sulle elezioni europee del 2019, che saranno, dice, «uno snodo fondamentale, perché finalmente potrà finire l'eterno inciucio tra Popolari e Socialisti, che mal governa questa Unione da troppi anni».

«NON TEMIAMO IL VOTO» Il leader della Lega parla anche di politica interna, evitando di chiudere al Pd in quanto tale, ma solo a coloro che hanno «perso le elezioni», come «Boschi, Renzi e Gentiloni». Anche qui bastone (l'unica cosa che non temiamo è il voto, ha sottolineato) e carota (ha detto di aver fiducia non nei leader di partito, ma nei parlamentari che hanno preso i voti).

NO A RENZI E AL PD Il leader leghista ha nominato il Pd solo per escludere che possa ambire alla presidenza della Camera o del Senato: «Io ascolto tutti e partiamo dalla coalizione di centrodestra: sicuramente chi ha perso le elezioni è l'ultimo che può rivendicare qualcosa, penso a Renzi e al Pd», ha scandito.

BASTA DIKTAT DELLE ÉLITE Solo gli sviluppi a Roma nei prossimi giorni e nelle prossime settimane diranno se l'Italia avrà «un governo che non accetti più i diktat delle élite globaliste, che ridia l'Italia agli italiani e che sia il governo di Matteo Salvini», come ha auspicato il copresidente del gruppo Enf, l'olandese del Partito per la Libertà Marcel de Graaf e che aprirebbe una stagione complicata nei rapporti tra Roma e Bruxelles. Per arrivarci, però serve una maggioranza in Parlamento, quindi un accordo politico con qualcuno. Salvini è parso fiducioso: «Eh, lasciamo che i frutti maturino», si è limitato a dire.



Unione Sarda

«Da Renzi solo mance e bugie Il Pd riparta dai più deboli»
L'ex deputato Marco Meloni: nell'Isola il partito è una federazione di correnti

Facile mollare Renzi adesso. Marco Meloni invece lo attaccava già
quando era premier: e non solo per fedeltà a Enrico Letta, a cui il
quasi ex deputato quartese è vicinissimo da sempre. «Renzi ha tradito
ogni impegno e sbagliato linea», dice Meloni: «Abbiamo finito per
parlare a pochi garantiti».

E si è visto il 4 marzo.
«Il 4 marzo è solo la prevedibile conseguenza di anni di errori. La
peggiore sconfitta di sempre delle forze riformiste e progressiste».

Tutta colpa di Renzi?
«Le scelte sono state condivise da tanti: ma a un leader forte come
lui si riconoscono grandi meriti se ha successo, e ora grandi
demeriti».

Il più grave?
«Ha perso ogni credibilità. Ha iniziato la sua segreteria con le
menzogne e così ha continuato».

Quali menzogne?
«La promessa di arrivare a Palazzo Chigi solo con le elezioni, quella
di lasciare la politica per la sconfitta referendaria. La stessa
rottamazione è un impegno tradito».

Beh, il gruppo dirigente del Pd è cambiato molto.
«Guardi, lunedì nella direzione nazionale il super-renziano Vincenzo
De Luca ci ha spiegato come rinnovare, dopo aver sistemato tutta la
famiglia nelle istituzioni. Ci sono stati troppi passaggi al Pd dalla
destra. Renzi critica i caminetti, quelli degli altri. Ma i candidati
alle Politiche li ha scelti nel suo caminetto».

Come si spiega la mutazione della rottamazione?
«A Renzi interessa il potere per il potere. Ha usato la rottamazione
per conquistarlo, poi ha fatto accordi con chiunque. E così da anni
perdiamo ogni elezione».

Sulla linea politica quali sono stati gli errori?
«Se ti vota solo il 10% dei disoccupati, degli operai, dei giovani; se
vinci solo nel centro di Roma, Milano, Torino e Bologna, vuol dire che
non hai capito le esigenze vere delle persone. Ormai ci votano i
pensionati e i benestanti».

È la rivolta delle periferie di cui parla Arturo Parisi?
«È evidente che non abbiamo capito il malessere delle periferie e di
vasti strati sociali. Abbiamo esaltato la ripresa, ma l'Italia cresce
meno del resto d'Europa».

Lei è vicino a Letta, ma quando Renzi lo sostituì al governo, molti
nel Pd chiedevano un cambio di passo.
«Al governo Letta aveva già tolto la benzina la segreteria di Renzi.
Il cambio di passo furono gli 80 euro: la logica sbagliata dei bonus,
come quello per i giovani, uguale per tutti, ricchi e no. Si dovevano
semmai aumentare la produttività e riattivare gli investimenti
pubblici per la crescita».

Però quegli 80 euro hanno dato una mano a tanti.
«Ma non si governa distribuendo mance. E in campagna elettorale ne
abbiamo promesso altre, ma c'era chi prometteva di più. C'è chi ha
parafrasato “Per un pugno di dollari”: quando l'uomo con gli 80 euro
incontra l'uomo col reddito di cittadinanza, il primo è un uomo
morto».

Non crede che al centrosinistra servisse il decisionismo renziano?
Pensi alla legge sulle unioni civili.
«Sono orgoglioso di aver contribuito ad approvare leggi importanti, ma
abbiamo fallito le riforme istituzionali, consegnando il Paese
all'ingovernabilità. E non te la cavi dicendo: governino gli altri».

Cioè il Pd dovrebbe sostenere un governo Di Maio?
«No. Però non si dileggiano i cittadini che lo hanno votato, molti
sono nostri ex elettori. Bisogna essere attenti e umili per capire le
loro scelte. La riflessione della direzione nazionale finora è
insufficiente, se si danno le colpe solo ai difetti caratteriali. E
l'atteggiamento di Renzi, che non ha partecipato, è vile. Dire “non
mollo, non lascerò mai il futuro agli altri” è un patetico reducismo».

E se Mattarella chiedesse di garantire la governabilità?
«Su questo la direzione ha detto due cose giuste: non possiamo
sostenere maggioranze politiche altrui, ma valuteremo le eventuali
proposte del capo dello Stato nell'interesse del Paese».

In che cosa potrebbe tradursi la “responsabilità”?
«Impossibile dirlo oggi».

Come può ripartire ora il Pd? Primarie subito?
«Il Pd va rifondato. Con un percorso che arrivi a quell'esito, ma non
subito. Andare a una conta tra un mese non serve a niente».

Cosa servirebbe, invece?
«Anzitutto non rompersi, riprendere a essere una comunità dopo la
violenza politica introdotta in questi anni. E poi riscoprire cosa
significa essere una forza progressista e riformista».

Già: cosa significa?
«Per ora sono più importanti le domande che le risposte. Dobbiamo
ripartire dai nostri valori di fondo, guardare la società con gli
occhi dei più deboli e delle periferie sociali. Invece l'abbiamo
guardata con gli occhi del Palazzo, e alla fine siamo stati visti come
il Palazzo».

Sta dicendo che dovete stare più a sinistra?
«La sinistra è in crisi in tutta Europa: la lunga crisi economica e le
migrazioni rendono difficile difendere i nostri ideali. Ma per essere
progressisti occorre riprendere a essere essenziali e radicali, senza
mai essere arroganti. Certo non con l'armamentario delle vecchie
ideologie, ma con un pensiero nuovo».

Lei è così critico perché non è stato ricandidato?
«O viceversa, non crede? Ero critico già da prima: non ho votato la
legge elettorale né la mozione su Bankitalia. Certo mi dispiace che
non mi sia stato proposto non dico un posto sicuro, ma neppure uno di
rincalzo: forse proprio perché ho ragionato con la mia testa».

Ora lavorerà alla Scuola di politiche. Qual è la finalità?
«Formare ogni anno cento giovani, per contribuire a creare una nuova
classe dirigente che capisca l'importanza della competenza e
dell'apertura. Ci sono scuole “sorelle” a Parigi e Berlino; in Italia
dopo Roma abbiamo aperto a Genova, poi saremo a Torino e Milano. E,
spero presto, nell'Isola».

A proposito: nella crisi Pd, visti i dati sardi, c'è una specifica
questione sarda?
«Il Pd sardo deve smettere di essere una federazione di correnti. Io
ho sempre fatto parte di una corrente, ma serve un nuovo modo di stare
insieme. Di certo il partito non è stato condotto bene in questi
mesi».

In questi anni, dirà: non ha mai svolto una funzione di indirizzo sulla Giunta.
«È vero, obiettivamente il rapporto tra Pd e Giunta non ha funzionato
al meglio. Alla Regione abbiamo fatto molte cose positive, ma forse
tutti abbiamo avvertito poco la gravità della situazione sarda, e non
siamo stati sufficientemente decisi nel rapporto con lo Stato».

Anche in Sardegna è inutile fare subito le primarie?
«Sì. L'augurio a tutti noi è che si trovino soluzioni che ci vedano
uniti. Soluzioni di qualità e di cambiamento».

E di ricambio anagrafico?
«Credo ai giovani che si prendono spazi, non alle cooptazioni: vorrei
che fossero i capi del partito, non i rappresentanti dei capi veri».
Giuseppe Meloni

Il sindaco di Olbia Nizzi (FI) analizza il recente voto politico e
parla del futuro
«Alle Regionali possiamo vincere Io candidato se me lo chiedono»

«Il vento impetuoso che ha spinto il Movimento Cinquestelle verso il
trionfo alle Politiche non spazzerà via tutto anche alle Regionali, ne
sono certo. Il quattro marzo i candidati non hanno avuto alcun peso,
tra un anno saranno decisivi. E noi puntiamo a vincere».

Settimo Nizzi è convinto che non ci sarà un altro tsunami. Il sindaco
di Olbia ha chiare le ragioni del risultato di due settimane fa e dice
di sapere che cosa deve fare il centrodestra da qui al 24 febbraio
2019, data in cui verosimilmente si voterà per eleggere governatore e
consiglio regionale. «Dobbiamo tornare tra la gente, spiegare che cosa
vogliamo e avere il coraggio di portare fino in fondo i nostri
programmi».

In realtà Forza Italia anche questa volta aveva un candidato forte, il
sindaco di Golfo Aranci e consigliere regionale Giuseppe Fasolino, che
nell'uno-contro-uno del Nord Sardegna ha perso contro il pentastellato
Nardo Marino. «Noi abbiamo guadagnato consensi rispetto alle ultime
tornate elettorali e se ci fosse stato il vecchio collegio avremmo
vinto di duemila voti. Ma questo voto di protesta che ha travolto
tutto il sud non poteva essere fermato in alcun modo. Sa perché non
abbiamo preso noi quei voti?»

Perché?
«Perché non abbiamo cavalcato le grandi battaglie di popolo:
l'invasione di stranieri, la sicurezza sociale, la mancanza di
risposte agli imprenditori. In Italia si fanno leggi che incentivano
chi delinque e penalizzano le persone perbene. Ecco perché ci ha
superato la Lega».

Fasolino ha detto che il centrodestra ha assecondato spesso gli umori
della gente e non ha portato sino in fondo alcune sue battaglie
storiche, come il Ppr.
«Ha ragione. In politica servono coraggio e determinazione e se si
lasciano le cose a metà si va a casa. È assurdo che non si sia ancora
cambiato un Ppr al quale solo 20 comuni su 377 hanno adeguato il loro
Puc: i sindaci sono tutti scarsi o è un piano inapplicabile?».

Non ci è riuscito nemmeno il centrosinistra, hanno paura anche loro?
«Sì, ma solo di una sola persona. Per questo il centrosinistra dopo
aver vinto tutto perderà tutto. Che futuro può avere una maggioranza
che non porta in Consiglio una legge, quella Urbanistica, che vuole
approvare? Se non hai il coraggio di osare ingrossi le fila della
protesta, e questo vale per tutti».

Lei quando ha osato?
«Sempre. Quello che dipende da noi lo facciamo in pochissimo tempo: il
Piano del litorale, il piano Dehors, quello per il centro storico, la
viabilità».

Che cosa dovete fare da qui alle Regionali?
«Rimettere in moto la struttura organizzativa del partito nel
territorio, parlare con la gente».

Quale dev'essere, a suo avviso, il profilo del vostro candidato alla
presidenza della Regione.
«Una persona che abbia buoni rapporti col territorio, che abbia una
storia di concretezza e di cose fatte, che sia determinata, che sia
legata alla politica ma non un politico di professione. Uno che sappia
dialogare con le altre forze politiche della coalizione, dall'Udc ai
Riformatori sino al Psd'Az, che per noi è importante».

Per caso sta parlando di lei?
«Sono felice di essere il sindaco di Olbia ma se il partito e la
coalizione dovessero chiamarmi mi metterei a disposizione. Ma darei il
mio contributo anche se dovesse essere scelto un altro».

Ci sono altri nomi in grado di incarnare le caratteristiche che ha descritto?
«C'è un gruppo di persone di tutte le età molto capaci e siamo
maturati molto rispetto al passato. Ma ci siederemo attorno al tavolo
con gli alleati e poi condivideremo le scelte con Silvio Berlusconi».

La leadership di Ugo Cappellacci è solida?
«Ugo ha la piena fiducia di Berlusconi, è stato eletto deputato e
Forza Italia non è andata così male, date le condizioni. Questo lo ha
rafforzato. E ora che sarà a Roma saprà vedere anche da un altro punto
di vista la vita di partito».
Fabio Manca

Il leader del Movimento 5 Stelle esclude un esecutivo istituzionale
Di Maio detta le regole
No alla Lega. «Tornare al voto non ci spaventa»

ROMA L'Italia restarà nell'Unione europea e nella Nato e non faremo
mai accordi con forze antieuropeiste. Davanti alla stampa estera,
Luigi Di Maio manda un messaggio all'Europa per rassicurare i
principali partner del Continente (Germania e Francia) sulle
intenzioni del Movimento che nove giorni dopo il voto torna a ribadire
il proprio ruolo come forza proiettata verso il governo del Paese,
bocciando ogni altra ipotesi alternativa. Messaggi rivolti anche alla
Lega, con cui è escluso ogni dialogo, e al Pd, considerato
interlocutore privilegiato.

Il candidato premier del Movimento 5 Stelle dice di non contemplare
«alcuna ipotesi di governo istituzionale o di governo di tutti» e
sottolinea che la partita relativa all'elezione dei presidenti delle
due Camere (per la quale il dialogo resta aperto) «non riguarda le
dinamiche di governo».

«PROPOSTE, NON POLTRONE» Per Di Maio è impensabile anche «immaginare
una squadra di governo diversa da quella espressa dalla volontà
popolare».

«C'è stata una grande investitura. Dobbiamo liberare l'Italia e se le
forze politiche stanno chiedendo di tornare a votare a noi non
spaventa. I cittadini quando hanno votato Movimento 5 Stelle hanno
votato un candidato premier, una squadra e un programma. Chi vuole
farsi avanti venga con proposte e non con posti nei ministeri,
ministri, sottosegretari. Interlocuzione con tutti sui temi ma fino ad
ora non ho visto avanzare neanche una proposta», si rammarica il
leader M5S, che alla domanda se un eventuale accordo con i partiti
debba passare per un voto online su Rousseau, risponde: «Prima deve
esserci l'interlocuzione, poi vedremo il metodo».

«MISURE PER LA STABILITÀ» «Le nostre misure economiche saranno sempre
ispirate alla stabilità del Paese: non vogliamo trascinare le
dinamiche economiche nelle diatribe politiche», evidenzia Di Maio, che
sferra un attacco al ministro dell'Economia: «Credo che oggi Padoan
sia stato molto irresponsabile a trascinare le questioni tra Italia e
Bruxelles rispondendo “non so” a proposito del futuro dell'Italia. È
stata quasi una provocazione - rincara il capo politico M5S - come a
dire che “ora che me vado all'opposizione avveleno i pozzi”».

MESSAGGIO A BRUXELLES Pur confermando la linea del Movimento sulle
questioni cruciali, Di Maio veste i panni dell'europeista e prova a
mandare un messaggio distensivo ai vertici di Bruxelles e alle
cancellerie europee: «Non vogliamo avere nulla a che fare con i
partiti estremisti europei», scandisce il vicepresidente della Camera,
ribadendo così il no alla Lega e che la linea di politica estera
targata M5S non isolerà l'Italia, perché è nelle intenzioni del
Movimento restare nella Ue e nella Nato, con l'ambizione però di
«cambiare le cose che non vanno».

SUPERARE IL NODO DEL 3% «Ormai tutti concordano» sul fatto che il
parametro del 3% «vada superato, vediamo come. Noi abbiamo a cuore
l'idea di ridurre il debito pubblico» ma «con politiche espansive» e
«non con l'austerity», insiste Di Maio, che torna a parlare di una
possibile revisione delle sanzioni alla Russia (ma solo
«nell'interesse dell'Italia») e annuncia che in caso di nomina come
presidente del Consiglio il suo primo viaggio ufficiale avrà come meta
Bruxelles.

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Federico Marini
skype: federico1970ca



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